Con riferimento alla stipulazione di contratti con la clientela per la prestazione di servizi e di attività di investimento, nonché eventualmente di servizi accessori, l’art. 23, comma 6, del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza o TUF) prevede che: “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. L’ordinamento prevede dunque un particolare regime di ripartizione dell’onere della prova, a tutela della peculiare posizione del cliente, parte debole contrattuale. A questo proposito, pronunciandosi in relazione a una possibile violazione degli obblighi informativi posti in capo all’intermediario, la Cassazione ha enunciato il principio secondo cui “nell’economia della singola operazione, l’obbligo informativo assum[e] rilievo determinante, essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli”. Da ciò discende che: (a) da un lato, “la condotta dell’intermediario, che trascura di assolvere i doveri impostogli dalla legge, si manifesta, in sé stessa, come fattore di disorientamento del risparmiatore; di uno scorretto orientamento di questi verso le scelte di investimento”, e (b) dall’altro, “il riscontro della mancata prestazione dell’informazione, che risulta dovuta dall’intermediario, viene propriamente a ingenerare una presunzione di riconducibilità ad essa dell’operazione, salva comunque restando la possibilità dell’intermediario di provare eventuali circostanze atte a interrompere tale nesso eziologico”.