Come noto, in materia di annullabilità delle deliberazioni dell’assemblea dei soci, l’art. 2377, comma 2, c.c. prevede che “le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale”. A questo proposito, il Tribunale di Roma ha recentemente ribadito un consolidato principio di diritto (confermato anche nella giurisprudenza di legittimità). Il Tribunale ha infatti confermato che, proprio perché il potere di impugnare le deliberazioni assembleari rientra nelle competenze del consiglio di amministrazione, con il precipuo scopo di tutelare gli interessi sociali, deve ravvisarsi un difetto di legittimazione attiva in capo ai singoli amministratori, i quali non possono infatti agire su base individuale a tal fine. Il Collegio ha dunque precisato che “il potere di impugnare le deliberazioni assunte dall’assemblea dei soci, contrarie alla legge o all’atto costitutivo, è riconosciuto agli amministratori della società per azioni dall’art. 2377, comma 2, c.c. e spetta al consiglio di amministrazione e non ai singoli amministratori che compongono l’organo collegiale”. Il Tribunale ha ritenuto applicabile tale principio non solo con riferimento all’impugnativa della deliberazione di mancata approvazione del bilancio, “rispetto alla quale appare all’evidenza problematico individuare profili di coinvolgimento diretto dei singoli componenti del consiglio di amministrazione”, ma anche con riferimento alle decisioni assunte dall’assemblea dei soci in relazione alla revoca del consiglio stesso.