L’art. 1, comma 2, l.f. individua alcune soglie dimensionali (riferite all’ammontare dell’attivo patrimoniale e dei ricavi lordi nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento, nonché dei debiti anche non scaduti) che l’imprenditore commerciale deve superare per poter essere soggetto alla disciplina sul fallimento e sul concordato preventivo. A questo riguardo, la Corte di Cassazione ha rilevato che l’analisi dei bilanci relativi a detti tre esercizi sociali, “ove non depositati o non tempestivamente depositati, [può] dar luogo a dubbi circa la loro attendibilità, anche in conseguenza delle tempistiche osservate (o non osservate) nell’esecuzione di questi adempimenti formali, sicché in tali casi il giudice potrà non tenere conto dei bilanci prodotti, di conseguenza rimanendo l’imprenditore diversamente onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità”. È infatti posta in capo al debitore l’onere della prova circa la sussistenza dei requisiti di non fallibilità, restando inteso che “i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale”.