In materia di vendita di beni, l’art. 1497, comma 1, c.c. prevede che “quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi”. Con particolare riferimento ai trasferimenti di partecipazioni sociali, il Tribunale di Milano ha recentemente avuto occasione di ribadire un orientamento assunto recentemente dalla Suprema Corte ad avviso del quale tali contratti hanno “come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta, con la conseguenza che il difetto di qualità della cosa venduta, ai fini dell’annullamento del contratto per errore o della risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1497 cod. civ., deve attenere unicamente alla ‘qualità’ dei diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto questo non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti”. Pertanto, ove l’acquirente voglia tutelare la propria posizione con riferimento a vizi inficianti il valore economico della partecipazione acquistata o dei beni sociali, devono prevedersi esplicite garanzie contrattuali.