La Corte di Cassazione ha ribadito il proprio consolidato orientamento relativo alle nozioni di “interesse” e “vantaggio” dell’ente ai fini dell’applicazione del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231. In particolare, la pronuncia in oggetto ha confermato che si tratta di “concetti giuridicamente diversi, che possono essere alternativamente presenti, sì da giustificare comunque la responsabilità dell’ente, come reso palese dall’uso della congiunzione ‘o’ da parte del legislatore nell’art. 5 d.lgs. 231/2001, e come è desumibile, da un punto di vista sistematico, dall’art. 12, comma 1, lett. a), dello stesso decreto legislativo, laddove si prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l’autore ha commesso il reato ‘nell’interesse proprio o di terzi’ e ‘l’ente non ne ha ricavato un vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo’, il che implica astrattamente che il reato può essere commesso nell’interesse dell’ente, senza procurargli in concreto alcun vantaggio”. Inoltre, con particolare riferimento all’elemento temporale relativo alla valutazione della sussistenza di un interesse o di un vantaggio per l’ente, la Cassazione ha ricordato che “il concetto di interesse attiene ad una valutazione ex ante rispetto alla commissione del reato presupposto, mentre il concetto di vantaggio implica l’effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato, e, dunque, si basa su una valutazione ex post”. Infine, la Suprema Corte ha confermato che, a seconda dei casi, il risparmio di spesa può senza dubbio costituire sia un interesse, sia un vantaggio per l’ente ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 231/2001.