La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione post-fallimentare, ossia la condotta illecita del fallito consistente nella distrazione delle somme, pervenute al medesimo per l’attività “esercitata successivamente alla dichiarazione di fallimento, qualora dette somme superino i limiti determinati dal giudice delegato in relazione a quanto occorre per il mantenimento dell’imprenditore fallito e della famiglia, ai sensi dell’art. 46, comma 1, n. 2 Legge fall.”. A questo proposito, la pronuncia in oggetto ha confermato che “nel fallimento non vanno riversati i ricavi dell’attività esercitata dal fallito dopo il fallimento, ma i guadagni conseguiti, con la conseguenza che, per stabilire se ed in quale misura il fallito abbia sottratto beni alla massa fallimentare, occorre tener conto dei costi incontrati nella gestione dell’attività, dovendosi per l’effetto considerare distratte le somme che rappresentano il guadagno effettivo, eccedente i limiti stabiliti dal giudice delegato”. Occorre pertanto tenere nettamente distinti i ricavi dai guadagni effettivamente conseguiti, scomputando dunque i costi sostenuti nell’espletamento dell’attività d’impresa. Da un diverso punti di vista, la Suprema Corte ha ribadito che “integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare la condotta di colui che, dopo essere stato dichiarato fallito, intraprenda una nuova attività dalla quale tragga guadagni eccedenti i redditi necessari per il mantenimento proprio e della propria famiglia, omettendo di conferirli a favore della procedura concorsuale in corso”.