La Suprema Corte si è recentemente pronunciata con riferimento alla condotta illecita nota come “abuso della maggioranza” o “abuso di potere” in ambito societario e, in particolare, in sede assembleare. È infatti noto che i soci in grado di determinare l’esito di una deliberazione assembleare (in genere il socio di maggioranza assoluta), pur godendo di ampia discrezionalità nell’esercizio dei diritti di voto di cui sono titolari, devono comunque agire secondo buona fede, in applicazione dei principi generali di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. A questo proposito, la pronuncia in oggetto ha chiarito che “la deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all’uopo previste, sotto il profilo dell’abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci”. Ciò in ragione del principio secondo cui “all’infuori della ipotesi di un esercizio “ingiustificato” ovvero “fraudolento” del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all’economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva”. Quanto all’onere della prova, la Corte ha confermato che esso “incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i “sintomi” di illiceità della delibera – deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente – in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato”.