Dopo aver ricordato che “i princìpi che governano la sorte dei crediti delle società commerciali estinte sono stati ricostruiti, in via generale, da una sentenza delle Sezioni Unite” (SS.UU., 12 marzo 2013, n. 6070), la Corte di Cassazione ha ribadito che: (a) l’estinzione della società dà vita ad un fenomeno successorio; (b) dal lato passivo, tale successione comporta che dei debiti sociali rispondono i soci, nei limiti di quanto ad essi pervenuto per effetto del bilancio di liquidazione; (c) dal lato attivo, tale successione comporta che i crediti sociali risultanti dal bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci pro indiviso. Quanto alla sorte delle sopravvenienze attive e dei crediti non risultanti dal bilancio di liquidazione, la pronuncia in oggetto ha confermato che “è compito del giudice di merito stabilire caso per caso se, in base alle peculiarità della fattispecie, possa presumersi ex art. 2727 c.c. una volontà della società di rinunciare ad un determinato credito”. Inoltre, riprendendo una più recente sentenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. I, 22 maggio 2020, n. 9464), la Corte ha chiarito che: (i) “anche i residui attivi e le sopravvenienze attive possono trasferirsi ai soci della disciolta società”; (ii) “può ammettersi in astratto che la società possa rinunciare ai crediti suddetti, ma questa rinuncia non può presumersi ipso facto in base al solo rilievo che il credito non sia stato appostato in bilancio”; (iii) la rinuncia può avvenire tacitamente solo se inequivoca e circostanziata e la “mancata appostazione d’un credito nel bilancio finale di liquidazione, tuttavia, non possiede i suddetti requisiti di inequivocità”.