In materia di aumenti di capitale “a pagamento” di società a responsabilità limitata, l’art. 2481-bis, comma 1, c.c. prevede che, da un lato, “in caso di decisione di aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute” e, dall’altro, nel caso in cui le quote di nuova emissione siano offerte a terzi, i soci che non abbiano concorso alla deliberazione possono recedere. Affrontando alcune questioni interpretative relative a detta disciplina, la Suprema Corte ha chiarito che “non è dato di ravvisare, in linea di principio, ragioni che ostino alla configurabilità della trasferibilità del diritto di opzione del singolo socio”, così che “il trasferimento del diritto di opzione può allora ritenersi precluso solo in presenza di una regolamentazione statutaria che sia direttamente o indirettamente incompatibile con esso”. Inoltre, nel caso in cui una simile regolamentazione statutaria sia effettivamente presente, ma si riferisca al solo trasferimento delle quote e non anche del diritto di opzione, “risulterebbe incongruo ammettere la trasferibilità del diritto di opzione delle quote di aumento del capitale sociale quando la norma statutaria impedisce la cessione della partecipazione societaria” in quanto, altrimenti, “la libera trasferibilità del diritto di opzione condurrebbe a un risultato che il contratto sociale ha vietato e non può conseguentemente ritenersi ammessa”. Per quanto riguarda i possibili vizi della deliberazione di aumento del capitale, la pronuncia in oggetto ha confermato che essa, ove “sia stata assunta con violazione del diritto di opzione, non è nulla, ma meramente annullabile, in quanto tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilità”.