In un filone giudiziario relativo a talune condotte (illecite) di abuso di informazioni privilegiate, verificatesi nell’ambito di un’offerta pubblica di acquisto (OPA) finalizzata al delisting della società quotata di riferimento, la Suprema Corte ha confermato la configurabilità del cd. “insider di se stesso”, in considerazione del fatto: “a) che, a fronte del carattere polisenso del termine “informazione” [che, ove privilegiata, può essere posta alla base dei reati di abusi di mercato], essa conferma la necessità di rendere oggetto dell’interpretazione l’enunciato normativo nella sua interezza; b) che, per il resto, la conclusione è fondata su un argomento non condivisibile, dal momento che […] l’essere in possesso di informazioni “in ragione” di determinati ruoli, partecipazioni o attività, ai sensi dell’art. 184, comma 1, t.u.f. non orienta in alcun modo l’interprete verso una alterità tra fonte produttiva del fatto conosciuto e soggetto titolare dell’informazione”. Ciò non toglie naturalmente “che non sia configurato un “abuso” di informazioni privilegiate quando la condotta rappresenti la mera attuazione di una decisione economica dell’operatore”, ma il fatto di essere uno dei promotori di un’OPA e successivamente approfittare dell’informazione privilegiata per rastrellare i titoli – al fine di ottenere un lucro sul differenziale dei corsi azionari prima e dopo la comunicazione al mercato del lancio dell’offerta – non rientra in tale ipotesi, essendo invece una condotta illecita riconducibile al cd. “insider di se stesso”.