Con la pronuncia in oggetto la Suprema Corte ha affrontato la questione circa la possibilità di distrarre fraudolentemente l’avviamento commerciale insito in un complesso aziendale per gli effetti di cui all’art. 216, comma 1, n. 1), l.f., ai sensi del quale “è punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che […] ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”. A questo riguardo, la Corte ha adottato una soluzione di maggior favore verso l’imprenditore (dichiarato fallito), avendo confermato che “ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che la distrazione sia riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili, con la conseguenza che non può costituire oggetto di distrazione l’avviamento commerciale di un’azienda ove questo venga identificato come prospettiva di costituire rapporti giuridici solo teoricamente immaginabili”, come nel caso in cui si indirizzino “i principali clienti della società fallita alla [diversa impresa con cui proseguire] l’attività produttiva al fine di favorire la instaurazione di futuri rapporti contrattuali in capo a quest’ultima”.