Pur essendosi pronunciata sul dettato normativo precedente alla riforma del diritto societario, la Corte di Cassazione ha enunciato un principio di diritto tuttora assai significativo in materia di riduzione del capitale per perdite (artt. 2446 e 2447 c.c.) e scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. e, prima della riforma, il corrispondente art. 2448, comma 1, n. 4, c.c.). In particolare, con la pronuncia in oggetto è stato confermato che: (a) da un lato, “fino a quando la perdita di esercizio si contiene entro i limiti del terzo della misura di capitale scelta dai soci al momento in cui tale evento si verifica, anche se tale misura è quella (minima) imposta dalla legge per il modello societario adottato, non vi è obbligo per gli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea per l’adozione di una delle decisioni indicate dall’art. 2447 cod. civ. e tale inerzia, ovvero una decisione assembleare diversa da quelle prescritte da tale articolo, non comporta conseguenze negative di sorta quanto alla vita della società”; (b) dall’altro, “è solo la perdita di esercizio superiore al terzo del capitale e incidente sul suo ammontare minimo che determina, per volontà della legge (il citato art. 2448 cod. civ.), lo scioglimento della società”. Pertanto, ove la società maturi perdite che intacchino il minimo legale ma siano inferiori al terzo del capitale sociale non scattano automaticamente gli obblighi e le cause di scioglimento di cui alle disposizioni richiamate.