Il Tribunale di Milano ha recentemente ribadito i principali tratti caratteristici dell’abuso nell’esercizio dei diritti di voto da parte della maggioranza (cd. “abuso della maggioranza”), pronunciandosi in relazione a una vicenda nella quale i soci di maggioranza avevano deliberato ed eseguito un aumento del capitale sociale a pagamento, senza limitare o escludere il diritto di opzione, al fine di sostenere le attività della società medesima e gli investimenti in una sua controllata. A questo proposito, la pronuncia in oggetto ha ricordato che: (a) in punto di natura del vizio deliberativo, “l’abuso del diritto di voto da parte del socio di maggioranza […] determina l’annullabilità della deliberazione assembleare”; (b) tale ipotesi “si configura allorché il socio eserciti consapevolmente il suo diritto di voto in modo tale da ledere le prerogative degli altri soci senza perseguire alcun interesse sociale, in violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto sociale”; (c) il perseguimento di un effettivo interesse sociale “esclude, quindi, in radice la configurabilità dell’abuso di potere dei soci di maggioranza”; (d) in relazione all’ampiezza del sindacato giudiziario sulla vicenda che la minoranza ritiene abbia configurato un abuso della maggioranza, “il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede senza spingersi a complesse e retrospettive valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese alla delibera adottata”.