Come noto, l’art. 53, comma 1, lett. d), del Testo Unico Bancario dispone che la Banca d’Italia emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto, fra l’altro, i sistemi di remunerazione e di incentivazione per gli esponenti aziendali (fra i quali i componenti degli organi sociali e il direttore generale). La Suprema Corte ha recentemente confermato la legittimità di un provvedimento sanzionatorio adottato dalla Banca d’Italia nei confronti degli amministratori di un importante ente creditizio per aver corrisposto un’ingente somma – priva di correzioni ex post (o claw back), di quote non in contanti e di quote a pagamento differito – al direttore generale a titolo di “incentivo per agevolare la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro e quale integrazione del trattamento di fine rapporto [e in aggiunta] ad ogni altra spettanza prevista dalla legge e dal contratto nazionale di lavoro per i dirigenti di aziende di credito”, in quanto erogata in violazione delle suddette disposizioni regolamentari. In particolare, la Cassazione ha fondato la propria determinazione sulla presenza di risultati negativi conseguiti nella gestione da parte del direttore generale uscente e sull’assenza di alcun collegamento fra l’erogazione di tale somma, da un lato, e la performance realizzata e i rischi assunti, dall’altro. Ciò anche in ragione del fatto che “deve escludersi che la banca per reperire le somma occorrenti a detto compenso possa adoperare le somme a qualunque titolo affidate dai risparmiatori, oppure il patrimonio di vigilanza della banca stessa”.