La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in merito a taluni profili giuridici relativi agli accordi o ai regolamenti di cd. cash pooling, ossia di tesoreria accentrata, molto diffusi nella prassi dei gruppi societari particolarmente integrati, specie se di grandi dimensioni. A questo proposito, i giudici di legittimità hanno confermato che “in materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurano il reato di bancarotta e possono eventualmente essere ricondotti all’operatività del contratto cosiddetto di “cash pooling” solo qualora ricorra la formalizzazione di tale contratto di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo”, restando tuttavia fermo che “nessun “sistema”, comunque denominato o qualificato, giustifica il passaggio di risorse da una società ad un’altra, anche facenti parte dello stesso gruppo, in una situazione di conclamata sofferenza della società deprivata, senza garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, che sia rivolto a superare prioritariamente le problematiche dell’ente in sofferenza”. Perché il meccanismo finanziario in oggetto non si esponga a rischi di contrasto alla legge – quantomeno in linea astratta – è dunque essenziale che, “sul piano formale, esista una precostituita e trasparente gestione finanziaria accentrata, e, sul versante sostanziale, sia esplicitata la vocazione funzionale di siffatta modalità di gestione alla massimizzazione, quantomeno in chiave proiettiva, della competitività delle società del gruppo”.