Nelle società di persone, di norma, i soci, o almeno alcuni di essi, rivestono anche la qualifica di amministratori. Nel caso in cui si verifichi una causa di esclusione del socio ai sensi degli artt. 2286 e 2287 c.c. e si giunga effettivamente a un’esclusione dello stesso, si pone il problema della sua revoca implicita dalla carica di amministratore. A questo proposito, la Suprema Corte ha evidenziato che: (a) “l’eventuale esclusione [del socio] dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, ne comporta “ipso iure” anche la cessazione dalla carica di amministratore”; (b) “la revoca dell’amministratore e l’esclusione del socio, nelle società di persone, costituiscono situazioni affatto distinte, legate a presupposti non necessariamente coincidenti, sicché non è possibile sovrapporre la disciplina legale dell’una figura a quella dell’altra, né implica che l’eventuale revoca della carica di amministratore incida di per sé sul perdurare del rapporto sociale”; (c) “il cumulo delle qualifiche di socio e di amministratore non impedisce che le irregolarità o illiceità commesse dall’amministratore determinino, non solo la revoca del mandato, ma anche l’esclusione del socio per violazione dei doveri previsti dallo statuto a tutela della finalità e degli interessi dell’ente”, infatti, “indipendentemente dagli obblighi che incombono sull’amministratore-socio, vi è un obbligo fondamentale che deriva dalla sua qualità di socio, costituito dal dovere di non compiere atti che, per essere in contrasto con i fini della società, configurino insidia per la compagine sociale”.