La Corte di Cassazione – muovendo dalla premessa secondo cui “la dissipazione è una condotta di non facile definizione, potendo del resto in taluni casi esservi sottesa la delicata questione delle scelte imprenditoriali nella valutazione dei mezzi occorrenti per l’adeguato svolgimento dell’attività esercitata, che ovviamente l’imprenditore è libero di adottare nel rispetto delle regole di conduzione delle aziende” – ha precisato che: (a) da un lato, “la bancarotta per dissipazione consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte, radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti”; (b) dall’altro, quest’ultima “si distingue da quella di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti, sotto il profilo oggettivo, per l’incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell’impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell’autore della condotta di diminuire il patrimonio per scopi del tutto estranei al perseguimento dell’oggetto sociale”.