La disciplina delle società cooperative prevede alcune ipotesi in cui è possibile che il socio venga escluso dalla società. In particolare, l’art. 2533, comma 1, c.c. prevede che ciò può avvenire, fra l’altro, “1) nei casi previsti dall’atto costitutivo; 2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico; 3) per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società”. A questo riguardo, la Suprema Corte ha enunciato il seguente significativo principio di diritto: “nel giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio, resa dai competenti organi collegiali per inosservanza del socio medesimo a determinate previsioni dello statuto, mentre resta preclusa un’indagine sull’opportunità della sanzione, essendo le relative valutazioni riservate ai predetti organi, deve ritenersi consentita l’interpretazione di quelle previsioni statutarie, anche alla luce dell’interesse sociale perseguito, al fine del controllo sulla riconducibilità in esse del fatto contestato a motivo dell’esclusione. Il giudice del merito deve, pertanto, valutare la riconducibilità in concreto dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, tenendo conto a tal fine – soprattutto quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica – della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintende un criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento addebitato al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo”.