La Suprema Corte si è recentemente pronunciata in materia di responsabilità civile derivante da mancato lancio di un’offerta pubblica di acquisto (OPA), totalitaria e obbligatoria, ai sensi degli articoli 105 ss. del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza o TUF). In particolare, la Cassazione ha ribadito che chiunque venga a detenere un numero di azioni che rappresenti almeno il 30% del capitale sociale o dei diritti di voto di una società quotata (25% nel caso di una società non qualificabile come “PMI”) e non lanci – come richiesto dalla normativa vigente – un’offerta pubblica di acquisto totalitaria, sarà tenuto a risarcire i soci che avrebbero dovuto essere destinatari dell’offerta. A questo proposito, la Cassazione ha chiarito che “il danno da perdita di chance di disinvestimento patito dall’azionista, perciò commisurato alle probabilità che l’azionista avrebbe aderito all’Opa che non ha invece avuto luogo, va determinato raffrontando il prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa con il loro valore effettivo, ritratto dalle risultanze di borsa, secondo il successivo andamento del titolo, nell’arco temporale intercorrente tra il giorno in cui si è consumata la violazione dell’obbligo di Opa e quello del disinvestimento (se vi è stato, ovvero in caso contrario della proposizione della domanda risarcitoria)”. Il danno cagionato è dunque identificabile in una “perdita di chance” (ossia “lucro cessante ipotetico”) di un possibile e vantaggioso disinvestimento.