Nel caso in cui i membri del collegio sindacale di una società quotata si rendano inadempienti ai doveri previsti dall’art. 149 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza o TUF), ricorrendone i presupposti di legge, agli stessi potrà essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria, in forza dell’art. 193, comma 3 TUF. In relazione al procedimento amministrativo applicabile a tale ipotesi, l’art. 195, comma 2, TUF prevede che
“il procedimento sanzionatorio è retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie”.
A questo proposito, la Suprema Corte ha nuovamente confermato il proprio – severo – orientamento interpretativo in ragione del quale le sanzioni amministrative previste dal Testo Unico (salvo quella di cui all’art. 187-ter TUF, oggetto della nota pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Stevens e altri c. Italia) non hanno natura “sostanzialmente penale”, bensì amministrativa,
“quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale […] né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU”.
Inoltre, pronunciandosi (in senso negativo) in relazione alla possibile applicazione del principio del favor rei in caso di ius superveniens più favorevole a favore di chi abbia commesso uno degli illeciti amministrativi in parola, la Corte di Cassazione ha concluso che
“in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 I. 24 novembre 1981 n. 689, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine”.