Nel confermare anzitutto che “la responsabilità degli enti è configurata come derivante da fatto proprio degli stessi, dipendente da uno dei reati specificamente previsti nel catalogo normativo”, la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire alcuni fondamentali approdi interpretativi in relazione alle norme previste dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231. In particolare: (i) la responsabilità in parola trova il proprio fondamento “su una colpa di organizzazione, in senso normativo, correlata ai reati specificamente previsti”, (ii) le nozioni di “interesse” e “vantaggio” devono essere ritenute distinte e non ridondanti, “in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ‘ex ante’, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ‘ex post’, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito”, (iii) in relazione ai reati commessi dai soggetti posti in posizione apicale, l’ente può opporre “la prova della preventiva adozione e attuazione di idonei modelli organizzativi, volti a prevenire reati della specie di quello verificatosi”, (iv) sempre con riferimento ai reati commessi dai soggetti in posizione apicale, “la mancata adozione [del modello] è di per sé bastevole al fine di suffragare la responsabilità dell’ente […], in quanto viene a mancare in radice un sistema che sia in grado di costituire un oggettivo parametro di riferimento anche per chi è nella condizione di esprimere direttamente la volontà dell’ente”, (v) a tale modello di organizzazione e gestione deve essere “correlato un proficuo e mirato sistema di prevenzione”, restando inteso che “il dovere di direzione e vigilanza deve specificamente orientarsi verso la prevenzione delle condotte illecite incluse nel catalogo normativo, tanto più con riguardo a quelle inerenti ai rischi propri del tipo di impresa”, (vi) “in assenza di un modello organizzativo idoneo, la colpa di organizzazione risulta comunque sottesa ad un deficit di direzione o vigilanza – incentrata su un sistema di regole cautelari –, che abbia in concreto propiziato il reato”, (vii) all’organismo di vigilanza devono essere attribuiti “autonomi poteri”, volti a garantire l’efficace vigilanza sull’osservanza del modello, (viii) la sottoposizione di un esponente dell’impresa a sanzione disciplinare “non implica il previo esercizio di un’effettiva azione di direzione e controllo sulla base della definizione di nitide regole cautelari”.