L’art. 321, comma 2, c.p.p., nel prevedere che “il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”, consente, con riferimento alla commissione dei reati di abuso di mercato (market abuse), il sequestro: (i) “del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo” (art. 187, comma 1, TUF), (ii) oppure, ove ciò non sia possibile, “di denaro o beni di valore equivalente” (art. 187, comma 2, TUF). A questo riguardo, la Corte di Cassazione ha confermato che non può aversi “alcun dubbio sul fatto che la confisca per equivalente e, quindi, il sequestro preventivo ad essa finalizzato, siano applicabili nei casi in cui non sia possibile la confisca, non solo del prodotto o del profitto, ma anche dei beni utilizzati per commettere il reato”. Con particolare riferimento alle condotte di abuso di informazioni privilegiate, la pronuncia in oggetto ha chiarito che “l’entità del profitto derivante dai reati di abuso di informazioni privilegiate in contestazione […] è pari alla sommatoria delle provviste finanziarie impegnate per gli acquisti dei titoli e delle plusvalenze realizzate”, ricomprendendo dunque le somme di denaro originariamente utilizzate per la commissione dell’illecito, le quali si pongono in “rapporto di pertinenzialità con la condotta penalmente rilevante”.