L’azienda – ai sensi dell’art. 2555 c.c., “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” – può formare parte dell’asse ereditario lasciato dal de cuius in favore dei propri eredi. Nel caso in cui ciò avvenga, occorre tuttavia distinguere le ipotesi di azienda ereditaria costituente una comunione fra gli eredi ed esercizio di attività d’impresa, mediante utilizzo dell’azienda ereditaria, da parte degli eredi. A questo proposito, la Suprema Corte ha ricordato che: (a) “l’azienda ereditaria forma oggetto di comunione fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione, e cioè fino a quando i coeredi si limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius, negli elementi e con la consistenza in cui essa è caduta nel patrimonio comune”, (b) se invece l’azienda “viene ad essere esercitata con fine speculativo, con nuovi incrementi e con nuovi utili derivanti dal nuovo esercizio, possono verificarsi due ipotesi: o l’impresa è esercitata, d’accordo, da tutti i coeredi, [così che] la comunione incidentale si trasforma in società tra i coeredi, ovvero la continuazione dell’esercizio dell’impresa è effettuata da uno o da alcuni dei coeredi soltanto, ed allora la comunione incidentale è limitata all’azienda come relitta dal de cuius, con gli elementi – materiali e immateriali – esistenti al momento dell’apertura della successione mentre il successivo esercizio, con gli incrementi personalmente apportati dal coerede o dai coeredi che lo effettuano e con gli utili e le perdite conseguenti, non può essere imputato che al coerede o ai coeredi predetti”.