L’art. 216, comma 1., n. 1), l.f. prevede che venga punito penalmente per bancarotta “distrattiva” l’imprenditore che “ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”. Ai sensi dell’art. 223 l.f., sono soggetti alla medesima sanzione gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite, nel caso in cui questi abbiano commesso condotte distrattive. A questo riguardo, con particolare riferimento ai gruppi di imprese a alla teoria dei “vantaggi compensativi”, la Cassazione ha enunciato il principio ad avviso del quale “[non può sostenersi] che la mera appartenenza della società ad un gruppo renda plausibile l’esistenza dei suddetti “benefici compensativi” e che, pertanto, competa alla società la quale abbia agito contro il proprio amministratore l’onere di dimostrarne l’inesistenza”. Pertanto, “la società attrice esaurisce il proprio onere probatorio dimostrando l’esistenza di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire lo specifico interesse sociale. È il medesimo amministratore, se del caso, che deve farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta”.