In materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, l’art. 71 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 prevede fra l’altro l’obbligo del datore di lavoro di “verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina”. A questo riguardo, pronunciandosi in relazione a una fattispecie in cui i lavoratori eludevano le regole di sicurezza poste a loro salvaguardia, nascondendosi dai soggetti preposti ai controlli, la Corte di Cassazione ha confermato che il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile per la propria sola qualifica, infatti “il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova né della conoscenza, né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di prassi aziendali (più o meno ricorrenti) volte ad eludere i dispositivi di protezione presenti sui macchinari messi a disposizione dei dipendenti”. Infatti, se da un lato il datore di lavoro è “responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di non esigere che tali dispositivi non vengano rimossi”, dall’altro, in caso di prassi elusive dei sistemi di sicurezza da parte dei lavoratori, “non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi, o che le avesse colposamente ignorate”. E ciò trova un fondamento logico-giuridico nel fatto che, “diversamente opinando, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale ‘di posizione’ tale da eludere l’accertamento della prevedibilità dell’evento – imprescindibile nell’ambito dei reati colposi – e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva”.