L’art. 10, comma 1, del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 dispone che “il revisore legale e la società di revisione legale che effettuano la revisione legale, nonché qualsiasi persona fisica in grado di influenzare direttamente o indirettamente l’esito della revisione legale, devono essere indipendenti dalla società sottoposta a revisione e non devono essere in alcun modo coinvolti nel suo processo decisionale”. I commi successivi delineano in maggior dettaglio la portata di tale ampia disposizione. La Suprema Corte si è pronunciata con riferimento a un caso in cui il soggetto incaricato della revisione legale dei conti di una società per azioni apparteneva al medesimo studio di consulenza di un membro del collegio sindacale. A questo proposito, la pronuncia in oggetto ha anzitutto chiarito che, per quanto l’art. 10 del D.Lgs. 39/2010 faccia riferimento all’indipendenza del revisore rispetto all’entità soggetta a revisione, “nel concetto di ‘società’ – che non può intrattenere con il revisore legale relazioni finanziarie, d’affari, di lavoro o di altro genere, dirette o indirette (aventi ad oggetto la prestazione di servizi anche diversi dalla revisione) – rientra, a pieno titolo, anche l’organo societario del collegio sindacale. Si tratta, infatti, di un organo facente parte della c.d. govemance della società, il quale concorre alla formazione dell’iter decisionale della medesima”. Alla luce di ciò, “l’esistenza di un rapporto di natura patrimoniale, anche lato sensu, tra sindaco e revisore contabile [è] potenzialmente fonte di possibili reciproci condizionamenti”. Inoltre, non può essere applicato un criterio di “significatività” o “rilevanza” del rapporto di affari fra il soggetto incaricato della revisione legale dei conti e i sindaci, in quanto non previsto da alcuna norma vigente. La Cassazione conclude ricordando che la violazione di tale canone di indipendenza comporta la nullità dell’atto di nomina e il venir meno del diritto del revisore al proprio compenso professionale.