Come noto, la riforma del diritto societario del 2003 ha riformulato in modo non trascurabile la norma di cui all’articolo 2392, comma 2 c.c. Infatti, a seguito della riforma, tale disposizione prevede che “gli amministratori […] sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (la disciplina previgente sanciva un più oneroso obbligo di “vigilanza” sulla gestione delegata). Per altro verso, l’art. 2381, comma 6, c.c. prevede che “gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”. A questo proposito, la Corte d’Appello di Milano ha recentemente sostenuto che gli amministratori non esecutivi: (a) sono responsabili ove “colposamente non abbiano rilevati i segnali dell’altrui illecita gestione della società, se tali segnali risultavano percepibili con la diligenza della carica”; (b) per andare esenti da responsabilità, devono dar prova di “aver sollecitato gli stessi amministratori delegati dell’adozione di idonei rimedi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli, ovvero per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”; (c) nel caso in cui si verifichi una causa di scioglimento della società, devono comportarsi con una particolare diligenza, sollecitando “i provvedimenti previsti dagli artt. 2484, 2485 e 2486 c.c.”. Inoltre, la pronuncia in oggetto ha confermato che la violazione del canone di comportamento di cui all’art. 2486 c.c. non consiste solo nello “svolgimento di operazioni attive di fatto dannose per il patrimonio sociale, ma anche [nel] mancato svolgimento di operazioni necessarie al fine della conservazione della situazione patrimoniale”, attribuendo così rilevanza anche a comportamenti omissivi.