Come noto, l’art. 2407, comma 2, c.c. prevede che i sindaci “sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”. A tale riguardo, la Suprema corte ha affermato fra l’altro che, trattandosi di un’ipotesi di “concorso omissivo nel fatto illecito altrui, ai fini del giudizio di responsabilità occorre, anzitutto, l’accertamento degli elementi costitutivi oggettivi della fattispecie: ovvero, la condotta, consistente nell’inerzia; l’evento, quale fatto pregiudizievole ed antidoveroso altrui; il nesso causale, mediante il cd. giudizio controfattuale, allorché l’attivazione avrebbe potuto impedire l’evento, anche con riguardo alla sua protrazione, reiterazione o aggravamento”. Restando inteso che ai fini della responsabilità dei sindaci è “sufficiente l’inosservanza del dovere di vigilanza, allorché i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità”. Più in generale, sull’articolazione dei controlli interni nelle società di capitali, la Cassazione ha ricordato che “l’obbligo di controllo accomuna una pluralità di soggetti ed organi, quali gli amministratori non esecutivi e gli amministratori indipendenti, i sindaci, i revisori, il comitato per il controllo interno, l’organismo di vigilanza di cui al d.lgs. 231/01 e il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società quotate di cui all’art. 154-bis t.u.f.”.