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I dati informatici sono “beni mobili” ai fini della normativa penale? (Cass. Pen., Sez. II, 10 aprile 2020, n. 11959)

Postato il 24 Aprile 202020 Aprile 2020 da Alessandro De Nicola

La Corte di Cassazione è stata investita della questione riguardante la possibile riconduzione dei dati informatici alla categoria dei “beni mobili”, ai fini dell’applicazione della normativa penale. La Corte ha ricordato anzitutto che in alcuni precedenti di legittimità: (i) in un primo momento è stato escluso che i dati informatici possano formare oggetto del reato di furto (art. 624 c.p.) “nel caso di semplice copiatura non autorizzata di [dati] contenuti in un supporto informatico altrui, poiché in tale ipotesi non si realizza la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore”, anche se più recentemente è stata assunta una posizione di segno opposto in relazione alla sottrazione di dati informatici e alla cancellazione dal server originario, (ii) è stato escluso che i beni immateriali possano formare oggetto del reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), “salvo che la condotta abbia ad oggetto i documenti che rappresentino i beni immateriali”. La pronuncia in oggetto ha concluso per la qualificazione dei dati informatici come “beni mobili”, valorizzando il fatto che: (a) da un lato, “il file, pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i files possono essere conservati e elaborati”, (b) dall’altro, “pur se difetta il requisito della apprensione materialmente percepibile del file in sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il file rappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l’estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l’intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall’uomo”. Pertanto può ricondursi al reato di appropriazione indebita la condotta consistente nella “sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi dì lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer “formattato””.

Cass. Pen., Sez. II, 10 aprile 2020, n. 11959

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