Dopo aver premesso che “l’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un’investitura formale, [è colui che] esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto” caratterizzati da “sistematicità e completezza”, la Corte di Cassazione ha confermato che “la disciplina della responsabilità degli amministratori delle società di capitali è applicabile anche [agli amministratori di fatto che] si siano ingeriti nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita”, in quanto anche essi possono “concorrere [con gli amministratori di diritto] a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione”. Con riferimento alla quantificazione del danno in caso di prosecuzione dell’attività nonostante la verificazione di una causa di scioglimento della società, ai sensi dell’art. 146, comma 2, l.f., è corretto individuare l’ammontare del “danno avendo riguardo all’accertata colpevole dispersione di elementi dell’attivo patrimoniale da parte degli amministratori, oltre che al colpevole protrarsi di un attività produttiva implicante l’assunzione di maggiori debiti della società, a nulla rilevando che l’importo oggetto di liquidazione sulla base di tali criteri sia ridotto a una minor somma, nella specie corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare, in ragione del limite quantitativo della pretesa fatta valere”.