Nelle operazioni di investimento in equity, accade non di rado che al soggetto nuovo entrante nella compagine sociale venga riconosciuta la possibilità di esercitare un diritto di exit a mezzo di un’opzione di vendita (cosiddetta put option), mirata a consentirgli di disinvestire ove insoddisfatto dell’operazione effettuata. Gli interpreti e gli operatori si sono spesso domandati se una put option così strutturata sia compatibile con quanto disposto dall’art. 2265 c.c., ai sensi del quale “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite” (cosiddetto “patto leonino”). Riprendendo un proprio noto precedente, che ha costituito la prima espressione di un orientamento particolarmente permissivo in materia (Cass. Civ., Sez. I, 4 luglio 2018, n. 17498), la Suprema Corte ha recentemente ribadito il seguente principio di diritto: “è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società”.