La disciplina sul diritto di recesso da società per azioni (artt. 2437 ss. c.c.) attribuisce rilevanza alla durata della società in due occasioni: (a) da un lato, nel caso in cui essa sia costituita a tempo indeterminato e non abbia azioni quotate, ciascun socio può recedere a propria mera discrezione (ad nutum) con preavviso di 180 giorni; (b) dall’altro, salvo che lo statuto disponga diversamente, può recedere il socio che non abbia concorso alla deliberazione di proroga del termine. A questo proposito, la Suprema Corte ha rilevato che “l’opposta ipotesi della riduzione della durata non è fonte di alcun autonomo diritto di recesso per il socio, né ciò può dedursi per implicito dalla facoltà [di recesso ad nutum ove la società sia contratta a tempo indeterminato, essendo] evidente che le ragioni di tale tutela non sussistono nell’opposto caso in cui la durata della società venga ridotta”. La pronuncia in oggetto ha anche evidenziato che non si può giungere a una diversa soluzione alla luce di quanto disposto dall’art. 2437, comma 1, lett. e), c.c., ad avviso del quale può recedere il socio che non abbia concorso alla deliberazione che prevede l’eliminazione di una o più cause di recesso statutarie ovvero di quelle cd. derogabili (fra cui rientra, come si è detto, quella di proroga del termine, essendo questa disponibile dallo statuto). Infatti, “la deliberazione di riduzione della durata della società che comporti il passaggio della durata da tempo indeterminato a durata a tempo determinato non attribuisce al socio un autonomo diritto di recesso ex lege alla stregua della disciplina dettata dall’art. 2437, primo comma, lett. e) cod. civ., perché tale effetto consegue solo nel caso di eliminazione delle cause di recesso previste ex lege derogabili e di eliminazione delle ulteriori clausole di recesso specificamente previste dallo statuto”.