La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in merito a una questione spesso discussa fra gli interpreti, riguardante la rilevanza delle condotte commesse in Italia da società aventi la sede principale all’estero nel quadro normativo sulla responsabilità degli enti ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231. In particolare, la Suprema Corte – muovendo dalla premessa secondo cui “l’art. 1, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel definire l’ambito applicativo delle disposizioni previste dallo stesso decreto legislativo non preveda alcuna distinzione fra gli enti aventi sede in Italia e quelli aventi sede all’estero” – ha confermato che la responsabilità dell’ente è “una responsabilità, sia pure autonoma, “derivata” dal reato, di tal che la giurisdizione va apprezzata rispetto al reato-presupposto, a nulla rilevando che la colpa in organizzazione e dunque la predisposizione di modelli non adeguati sia avvenuta all’estero”. Alla luce di ciò, la pronuncia in oggetto ha concluso che è “del tutto irrilevante la nazionalità – appunto straniera – dell’ente, non essendovi ragione alcuna per ritenere che le persone giuridiche siano soggette ad una disciplina speciale rispetto a quella vigente per le persone fisiche sì da sfuggire ai principi di obbligatorietà e di territorialità della legge penale codificati agli artt. 3 e 6, comma primo, cod. pen.”. Pertanto, nel caso in cui il reato presupposto abbia una rilevanza nazionale ai sensi della disciplina penalistica generale, l’ente potrà essere ritenuto responsabile anche se avente sede principale (o centro della propria operatività) all’estero.