Come noto, l’art. 2082 c.c. definisce come “imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. A questo riguardo la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito un fondamentale principio (affermatosi a partire dagli anni ’90), secondo cui “lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo)”. Guardando invece al mantenimento di tale qualifica ai fini della fallibilità, in caso di affitto dell’intera azienda, la pronuncia in oggetto ha chiarito che “non può essere dichiarata fallita una società che, dismessa l’attività, non svolga in concreto alcuna attività imprenditoriale, ma un mero affitto dell’azienda […]: onde non è sufficiente accertare l’avvenuto affitto dell’azienda per dedurne la compatibilità con la prosecuzione dell’impresa, che invece va positivamente accertata”. Pertanto, in caso di affitto dell’intera azienda, verrà di regola meno la qualifica di “imprenditore”, salvo prova contraria da verificarsi caso per caso.