L’art. 321, comma 1, c.p.p. – nel disciplinare il cosiddetto sequestro “preventivo” – prevede che “quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”. In materia di responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, l’art. 53, comma 1, del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 prevede che “il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’articolo 19. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter, 322, 322-bis e 323 del codice di procedura penale, in quanto applicabili”, senza richiamare espressamente la ricordata norma di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p. A questo proposito, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che l’istituto generale del sequestro “preventivo” può trovare applicazione anche in relazione alle ipotesi di responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche. Infatti, “il campo d’applicazione del sequestro impeditivo non coincide con le misure interdittive” previste dal D.Lgs. 231/2001, non venendosi dunque a creare alcuna (irragionevole) duplicazione normativa. Ciò in quanto le due tipologie di misure in parola divergono: (i) da un punto di vista temporale (la misura interdittiva è normalmente temporanea, laddove il sequestro “è tendenzialmente definitivo ove, all’esito del giudizio di cognizione, sia disposta la confisca”); (ii) per il loro effetto, “mentre la misura interdittiva ‘paralizza’ l’uso del bene ‘criminogeno’ solo in modo indiretto (quale effetto di una delle misure interdittive), al contrario, il sequestro (e la successiva confisca) colpisce il bene direttamente eliminando, quindi, per sempre, il pericolo che possa essere destinato a commettere altri reati”.