La Corte di Cassazione ha recentemente ricordato quali sono le caratteristiche del cosiddetto “amministratore di fatto”, ossia di colui che, pur non essendo stato formalmente nominato in seno all’organo gestorio, debba comunque qualificarsi come amministratore. In particolare, la pronuncia in oggetto ha confermato che “la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo di poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione”, precisando poi che tali elementi “non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale […] in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società”. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la valorizzazione da parte dei giudici di merito dei seguenti elementi fattuali: (i) la gestione promiscua della società, (ii) l’erogazione di rilevanti finanziamenti a favore della società, (iii) la circostanza che la sede della società era stata individuata presso lo studio professionale del soggetto in questione, (iv) il fatto che quest’ultimo teneva e gestiva la contabilità della società, (v) la spendita, con terzi, della qualifica di rappresentante della società, (vi) la partecipazione a riunioni degli organi sociali, in particolare dell’assemblea dei soci. La Corte ha infine ricordato che l’amministratore di fatto “è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti”.