L’art. 2359, comma 1, c.c. prevede tre ipotesi di “controllo societario”: (i) il controllo “di diritto”, integrato nelle ipotesi in cui un socio “dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria” della società partecipata, (ii) il controllo “di fatto”, ipotesi che si verifica quando un socio “dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria” della società partecipata, e (iii) il controllo “contrattuale”, cui sono soggette “le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”. Fornendo un utile chiarimento interpretativo sulla nozione di “controllo societario”, il Tribunale di Milano ha specificato che “è estranea alla posizione di controllo la situazione del socio titolare di un mero diritto di veto: il socio che può impedire all’altro o agli altri di assumere determinate decisioni non controlla la società, perché, all’opposto, il controllo è integrato dal potere di chi ne sia titolare di imporre agli altri soci le proprie scelte” in assenza, ad esempio, di “diritti particolari del socio riconosciuti ex art. 2468, comma 3, c.c., [particolari] quorum statutari, patti parasociali, quotazione delle partecipazioni in mercati regolamentati oppure diffuse tra il pubblico in maniera rilevante”. In tale situazione, infatti, il socio, pur godendo di un diritto di veto con riferimento a certe decisioni sociali, non è posto nella posizione di poter influenzare in modo dominante queste ultime.