Come noto, in materia di responsabilità degli amministratori di società per azioni, l’art. 2392, comma 1, c.c. prevede che “gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”. Rendendo una pronuncia avente a oggetto un caso di asserita mala gestio da parte di un amministratore, la Suprema Corte ha avuto l’occasione di ribadire alcuni punti fermi. In particolare, i giudici della Cassazione hanno confermato che: (a) conformemente all’orientamento interpretativo assolutamente dominante, “la responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale”, (b) in relazione all’onere della prova, data la ricordata natura contrattuale, “la società […] deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare […] l’osservanza dei [propri] doveri”, di cui al ricordato art. 2392 c.c., (c) trova piena applicazione anche nell’ordinamento nazionale la business judgement rule, secondo cui le scelte degli amministratori “sono insindacabili a meno che, se valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti”, (d) gli amministratori esecutivi (ossia quelli che abbiano ricevuto deleghe gestorie da parte dell’organo di appartenenza) “rispondono non già con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell’art. 2392 c.c., ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art. 1176, comma 2, c.c.”, (e) i comportamenti tenuti da un amministratore in violazione della disciplina sul conflitto di interessi e sull’eccesso di delega sono espressione di mala gestio, costituendo species di tale più ampia categoria di “cattiva gestione sociale”.