Ove un soggetto utilizzi abusivamente i dati personali di un individuo, ricorrendone i presupposti, potrà essere tenuto a risarcirlo, ove quest’ultimo abbia effettivamente subito danni patrimoniali o anche non patrimoniali. A questo riguardo, la Suprema Corte ha confermato che colui il quale agisca per ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di un’abusiva utilizzazione dei propri dati personali è in ogni caso tenuto a dare prova del “danno subito, siccome riferibile al trattamento del suo dato personale [il quale] deve essere sempre oggetto di proporzionata ed adeguata deduzione da parte dell’interessato”. Infatti, riprendendo un proprio precedente orientamento, la Cassazione ha ribadito che “il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere ‘in re ipsa’, ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana. La posizione attorea è tuttavia agevolata dall’onere della prova più favorevole, come descritto all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità”. Il danneggiante potrà invece dare autonoma prova circa la mancanza di colpa nella propria condotta.