Come noto, l’art. 648-bis, comma 1, c.p., nel delineare le caratteristiche tipiche del reato di riciclaggio, prevede che deve essere punito “chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. La Corte di Cassazione ha recentemente confermato che l’elemento soggettivo può essere individuato anche nel dolo eventuale e individuato alcuni elementi concreti che potrebbero indicarne la presenza. Fra questi: (i) la carica ricoperta nella struttura societaria e gli obblighi connessi alla medesima, in particolare se competente alla gestione di somme di denaro; (ii) la “elevata competenza tecnica” e “completa signoria” nelle operazioni societarie (ad esempio perché la carica ricoperta è apicale); (iii) “l’ingente importo delle somme investite, che rende scarsamente verosimile l’assenza di accurate verifiche sulla provenienza delle stesse” da parte di un soggetto apicale; (iv) la “particolare accuratezza e complessità delle operazioni”, in quanto possibile indice della presenza di “intento decettivo”; (v) la velocità delle operazioni poste in essere, come anche l’uso di termini criptici. Ad avviso della Suprema Corte, tutto ciò può costituire una seria indicazione della “inverosimiglianza dell’ipotesi […] circa una possibile acquisizione solo successiva di consapevolezza […] della provenienza da delitto delle somme riciclate” e così della presenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma sopra ricordata.