Da un lato, l’art. 2634 c.c. sanziona penalmente per infedeltà patrimoniale “gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale”. Dall’altro, gli l’art. 223 l.f. sanziona penalmente gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite che abbiano commesso alcune delle condotte di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 216 l.f. A questo proposito, la Corte di Cassazione ha evidenziato che “ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria da reato societario ex art. 2634 cod. civ., è necessario che gli atti di frode ai creditori siano espressione del potere di amministrazione, sia pure esercitato in una situazione di conflitto con l’interesse della società e con le finalità descritte dalla norma, mentre, invece, deve ritenersi sussistente il diverso reato di cui all’art. 223, comma primo, I. fall. quando siano realizzati atti di disposizione dei beni societari caratterizzati, secondo una valutazione ex ante, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata”.