I giudici di legittimità hanno enucleato alcuni principi cardine in relazione all’illecito penale di cui all’art. 2638 c.c., riguardante l’ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza spettanti alle autorità pubbliche. Analizzando l’ipotesi illecita di cui al secondo comma, la Corte di Cassazione ha chiarito che per l’integrazione del reato si “richiede la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute”, ossia “in altri termini, l’evento di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza si realizza con l’impedimento in toto di detto esercizio ovvero […] con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza. Fuori da questi casi, il mero ritardo che non rechi effettivo e rilevante pregiudizio all’esercizio dell’attività di vigilanza non può essere sussunto nel paradigma punitivo delineato dal comma 2 dell’art. 2638 c.c.”. Quanto all’elemento soggettivo, la Suprema Corte ha specificato che “[i]l reato di evento a forma libera di cui al comma 2 dell’art. 2638 c.c., che, come si è visto, può avere anche natura omissiva, richiede, sul piano dell’elemento psicologico, il dolo generico, che, naturalmente, deve investire anche l’evento del reato, mentre l’avverbio “consapevolmente”, come ritenuto dalla dottrina maggioritaria, vale a escludere il dolo eventuale tra le forme di dolo idonee a integrare la fattispecie incriminatrice”.