In materia di reati ambientali, l’art. 452-bis c.p. sanziona “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna” (cosiddetto inquinamento ambientale). A questo riguardo, la Suprema Corte, adottando un’interpretazione particolarmente tutelante, ha avuto modo di sostenere che anche la “potenziale contaminazione” di un sito assume rilevanza penale ai sensi della norma richiamata. Infatti, “sarebbe errato ritenere che potersi affermare la sussistenza del reato previsto dall’art. 452 bis cod. pen. Si debba necessariamente accertare che ci si trovi di fronte ad un sito contaminato”, sicché non è richiesta “la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. d.lgs. 152 del 2006”. Quanto alla “compromissione” e al “deterioramento” del sito, la Cassazione ha ribadito che tali elementi “consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della ‘compromissione’, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del ‘deterioramento’, da una condizione di squilibrio ‘strutturale’, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi”.