Premesso anzitutto che “il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta […] non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore”, la Suprema Corte si è recentemente pronunciata in relazione al particolare caso di concorso del socio nel reato di bancarotta realizzato dall’amministratore. A questo proposito, la Cassazione ha confermato che “il socio risponde a titolo di concorso […] nel reato proprio dell’amministratore, quale concorrente ‘extraneus’, ove ponga in essere una condotta agevolatrice tipica”. In particolare, tale condotta “può consistere anche in una deliberazione assembleare che si traduce in una falsità delle scritture, finalizzata a creare l’apparente legittimità di atti dispositivi del patrimonio sociale privi di reale giustificazione economica”, dovendosi comunque provare il dolo del socio consistente “nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’‘intraneus’, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società”.