Come noto, la legge stabilisce, da un lato, che “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale” (art. 2380-bis, comma 1, c.c.) e, dall’altro, che “se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti [restando inteso che] il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega” (art. 2381, commi 2 e 3, c.c.). Avviene con una certa frequenza che il consiglio effettui una delega, a favore di uno dei propri membri, limitata alla “ordinaria amministrazione”. La legge non fornisce alcuna definizione, tuttavia, di cosa rientri (e di cosa esuli) da quest’ultima. A questo riguardo, il Tribunale di Milano ha chiarito che il limite dell’ordinaria amministrazione deve essere interpretato “non nel senso che esso assume nel diritto generale delle persone fisiche, di impedimento ad operazioni dispositive o comunque non meramente conservative, bensì considerando che l’esercizio dell’impresa – in forma o meno associata – presuppone necessariamente il compimento di una serie continua di atti di investimento, acquisto, cessione e finanziamento e fondando quindi la distinzione sulla relazione in cui l’atto si pone con la gestione normale di un’impresa delle dimensioni di quella di specie”. Alla luce di ciò, deve ritenersi che rientrino nella “straordinaria amministrazione” solo gli atti che “modificano la struttura economico-organizzativa dell’impresa” (come già sostenuto da Cass. Civ., Sez. I, 5 dicembre 2011, n. 25952).