In materia di tutela dei consumatori, la Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori prevede, fra l’altro, che: (a) “il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende” (art. 4, par. 1); (b) “gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”. A tale riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha enunciato i seguenti principi di diritto: (i) l’art. 6, par. 1, deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale “non è tenuto ad esaminare d’ufficio e individualmente l’insieme delle altre clausole contrattuali, che non sono state impugnate da tale consumatore, al fine di verificare se esse possano essere considerate abusive, ma solo quelle che sono connesse all’oggetto della controversia, come delimitato dalle parti, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tale scopo, completati eventualmente da misure istruttorie”; (ii) gli artt. 4, par. 1, e 6, par. 1, devono essere interpretati nel senso che “sebbene, per valutare il carattere abusivo della clausola contrattuale che funge da fondamento per le pretese di un consumatore, occorra prendere in considerazione tutte le altre clausole del contratto stipulato tra un professionista e tale consumatore, tale considerazione non implica, di per sé, un obbligo, per il giudice nazionale adito, di esaminare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di tutte le suddette clausole”.