Come noto, l’art. 2501-ter, comma 1, c.c. prevede che, fra l’altro: “l’organo amministrativo delle società partecipanti alla fusione redige un progetto di fusione, dal quale dev[e] in ogni caso risultare […] il rapporto di cambio delle azioni o quote, nonché l’eventuale conguaglio in danaro”. Con la pronuncia in oggetto, la Suprema Corte ha affrontato la questione relativa alla possibilità di attribuire – ai fini della determinazione del ricordato rapporto di cambio – un valore diverso alle azioni di risparmio rispetto a quello delle azioni ordinarie, nel caso di specie inferiore. A questo proposito, è stato confermato che: (a) “il rapporto di cambio dipende dalla discrezionalità tecnica degli amministratori, essendo influenzato non solo da valutazioni di carattere economico, ma anche da fattori diversi: sicché deve escludersi che esso sia univocamente desumibile dal rapporto matematico intercorrente tra le unità patrimoniali facenti capo alle due società”; (b) “la legge non richiede che il rapporto di cambio sia ricavato con esattezza matematica dalla considerazione di elementi predeterminati. È anzi da osservare che il legislatore non ha nemmeno fissato precisi criteri direttivi per la determinazione del rapporto di cambio”; (c) poiché “valore delle azioni costituisce funzione dei diritti patrimoniali e amministrativi che queste racchiudono e tali diritti sono descritti dal regime giuridico, differenziato, pertinente ad ogni distinta categoria dei titoli”, deve allora concludersi che “una diversificazione del valore dei titoli appartenenti alle due categorie trova piena giustificazione; proprio perché l’azione incorpora sia diritti patrimoniali, sia diritti di partecipazione alla vita amministrativa della società, è certamente possibile che il valore dei titoli non sia lo stesso quando gli uni e gli altri diritti risultino, in base al rispettivo statuto normativo, differentemente modulati”.