In materia di bancarotta impropria da reato di false comunicazioni sociali (c.d. falso in bilancio), la Suprema Corte ha ricordato che “ricorrono le condizioni di configurabilità del falso in bilancio ai fini della bancarotta fraudolenta poiché, come noto, integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell’amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, evita che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell’attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi”. Quanto all’elemento soggettivo, la pronuncia in oggetto ha evidenziato la sua particolare complessità, infatti esso comprende “il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari”, restando peraltro inteso che “il predetto dolo generico non può ritenersi provato in quanto “in re ipsa” nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, né può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società, dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino la consapevolezza di un agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili”.