L’art. 223 l.f. estende agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite la disciplina di cui all’art. 216 l.f., in materia di bancarotta fraudolenta, ove questi abbiano: (i) “commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo”, (ii) “cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile”, oppure (iii) “cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società”. I giudici di legittimità hanno recentemente evidenziato che “[l]a fattispecie del falso nelle relazioni dei revisori non ha attinenza né con l’art. 2621 cod. civ. né con l’art. 223 comma secondo, n. 1, legge fall. e, per tale ragione, non può ex se rappresentare una modalità di concorso nei ridetti reati propri, pena la torsione dei principi di legalità e di tipicità”. Ciò comunque “non esclude che il revisore possa fornire il proprio apporto all’autore qualificato nella commissione del reato di falso in bilancio (ad esempio assicurando allo stesso una relazione positiva) e, conseguentemente, di quello di bancarotta societaria; tuttavia si tratta di concorso che passa attraverso le ordinarie forme di cui all’art. 110 cod. pen. (e relativi oneri probatori) e non attraverso una non consentita combinazione di altre norme incriminatrici, foriera di inammissibili scorciatoie probatorie”.