Come noto, l’art. 2495, comma 2, c.c. dispone che, in materia di responsabilità dei liquidatori di società di capitali, “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”. Pronunciandosi sulla portata normativa di tale disposizione, la Suprema Corte ha recentemente confermato che: (i) con riferimento alla natura della responsabilità del liquidatore “profilata dall’ art. 2495, comma 2, cod.civ. ha natura extracontrattuale”; (ii) alla luce di ciò, “il creditore rimasto insoddisfatto che intenda agire nei confronti del liquidatore ha l’onere di provare non solo i presupposti oggettivi della fattispecie (condotta, nesso causale e danno), ma anche il presupposto soggettivo (la colpa o il dolo)”; (iii) tenuto conto di tali due premesse, il creditore insoddisfatto deve “provare che vi sia stata una condotta di mancato pagamento dei debiti sociali nonostante l’esistenza nel bilancio finale di liquidazione di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il credito di colui che agisce e che, invece, è stata distribuita ai soci. Ed è necessario, parimenti, provare l’elemento costitutivo di natura soggettiva, ossia che la mancanza dell’attivo sia imputabile a condotta colposa o dolosa del liquidatore”. Inoltre, la Cassazione ha ricordato che “la responsabilità illimitata del liquidatore nei confronti dei ‘creditori sociali non soddisfatti’, prevista nell’articolo 2495, comma 2, cod. civ. una volta che la società sia stata cancellata, prescinde dall’accertamento di un formale stato di insolvenza della società da parte del liquidatore”.